Risotto alle pere con fonduta al Franciacorta e robiola di Roccaverano

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Peraltro, quelle erano generazioni appena uscite dalla guerra, forse prudenti, forse ancora spaventate, e la parsimonia, a tavola, dipendeva in parte da un potere di acquisto ancora molto limitato, in parte da una moralità sociale che considerava “grilli per la testa” quasi ogni genere di agio.
La mia era una famiglia borghese, ma non ricordo da bambino e da ragazzino, di avere avuto più di due o tre paia di scarpe. E sono in grado di fare un elenco, oggi abbastanza stupefacente, dei cibi considerati “di lusso” e dunque accolti a tavola con particolare entusiasmo: i frutti di bosco, il salmone affumicato, gli asparagi, il filetto di manzo, i pesci nobili…ed il vino “non da pasto” era sicuramente nel novero dei “grilli per la testa”, un capriccio da soddisfare.

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Adesso capisco perchè sono stata da sempre astemia, fino ad una decina di anni fa quando il mio ultimo compagno mi ha iniziato al buon bere e mangiare (prima ero molto morigerata anche nei confronti del cibo), ed ho preso una china pericolosa, quella del godimento, pericolosa perchè se uno ci si mette, difficilmente è in grado di arretrare. Si può solo continuare a percorrerla.

Ho incominciato a bere il vino con il naso. L’odore vinoso penetrante ed acre, le pozze di violacee che lasciavano chiazze sul pavimento, la bottiglia dell’olio di paraffina, i tappi di sughero. Forse ancora prima dei sei anni, perchè nei miei ricordi confusi mi pare di ricordare mio nonno insieme a mio padre in cantina, se così si poteva chiamare il sotterraneo di un condominio anni ’60: un corridoio di cemento su cui si aprivano le porte del locale di ispezione dell’ascensore, la stanza della caldaia, tante cellette di pochi metri quadrati affollate di freezer, arbanelle, pezzi di mobilio ormai in disuso e, in fondo, un locale lavanderia con due truogoli dove si potevano lavare le bottiglie.
Mio padre non è un intenditore, beve anche il vino che sa di tappo, pur di non buttarlo via, ma non avrebbe rinunciato al rito dell’imbottigliamento per nulla al mondo. Non ci rinuncia nemmeno adesso, consulta il calendario per individuare la fase lunare propizia.
Le damigiane, quelle vere di vetro e paglia, ora sono diventate taniche di plastica, ma resta quel marchingegno per spingere il tappo di sughero dentro il collo della bottiglia, di metallo con la vernice blu ormai un po’ scrostata e quel tubo, che dalla parte rigida si tuffa dentro la damigiana e dall’altra finisce con un rubinetto da infilare nel bottiglione oppure dentro l’imbuto. A quel tubo bisognava attaccarsi con la bocca e succhiare, poi la forza di gravità avrebbe fatto il suo lavoro, la damigiana posizionata in alto su uno sgabello e la bottiglia a terra.

Io scendevo nel sotterraneo di cemento insieme a lui, quasi fosse un appuntamento romantico, mi piaceva osservare quella dimostrazione annuale di destrezza pratica, più che vederlo con giacca e cravatta o con il camice bianco.

In fondo mi rimane, dell’infanzia, una leggera patina di disagio, quando bevo molto bene e (a volte molto caro). Non mi pare un diritto ordinario, mi pare, in fondo, pur sempre una straordinaria concessione alla gola…

Lo stesso disagio di quando utilizzo per un risotto un buon vino, perchè se è una concessione berlo, “per cucinare è peccato mortale!”

Non è un vero e proprio senso di colpa, è piuttosto un piacevole sentimento di peccato veniale, di concessione a me stesso: mi aiuta a non considerare banale o scontato il piacere di vivere.
Guai a chi considera ovvio essere felice e guai anche a chi, dimentica la fatica dei padri, che tracannavano pessimi bottiglioni per permettere a noi, oggi, di bere meglio e di ricordarli con tenera gratitudine.

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Risotto alle pere con fonduta al Franciacorta e robiola di Roccaverano

Per 4 persone

Ingredienti

    Per il risotto:
  • 350 g di riso
  • 2 cl di Franciacorta Millesimato Brut*
  • 2 pere Williams (una più matura che si scioglierà nel riso e l'altra più consistente che rimarrà croccante)
  • brodo di verdure
  • 1 rametto di timo
  • 3 cucchiai di grana grattugiato
  • 40 g di burro
  • sale e pepe
  • Per la fonduta al Franciacorta:
  • 40 g di burro
  • 50 g di scalogno tritato
  • 2 dl di Franciacorta brut
  • 200 gr di robiola di Roccaverano pura capra**
  • Per le chips di pera:
  • 100 g di acqua
  • 70 g di zucchero
  • 1/2 limone, il succo
  • 4 fettine centrali della pera meno matura utilizzata nel risotto

Preparazione

  1. Per la fonduta al Franciacorta: riunisci in una padella lo scalogno ed il vino, porta ad ebollizione e lascia restringere della metà a fiamma bassa, spegni la fiamma, incorpora il burro ed il formaggio, amalgamar riducendo in purea con un frullatore a immersione e passa al colino fine.
  2. Sciogli in una casseruola a parte 20 g di burro, unisci il riso, fallo tostare per un minuto, bagna con il Franciacorta, lascia evaporare e porta a cottura aggiungendo gradualmente il brodo bollente. A metà cottura aggiungi la pera a dadini. Spegni la fiamma, mantecare con il resto del burro e il grana, profuma con le foglioline di timo e lascia riposare qualche minuto coperto.
  3. Per le chips di pera: taglia la pera senza sbucciarla nella parte più larga centrale a fettine spesse circa 2 mm. Prepara uno sciroppo sciogliendo lo zucchero nell'acqua in un pentolino a fuoco dolce. Spegni e fai raffreddare, poi unisci il succo di limone. Immergi le fette di pera nello sciroppo, disponile su una teglia ricoperta di carta forno e cuoci a 140° per circa 60 minuti, controllando che non si scuriscano. Fai raffreddare su una gratella.
  4. Dividi la fonduta in quattro piatti e servi il risotto sopra la salsa, decorando con le chips di pera ed un rametto di timo.

Note

* Franciacorta Brut Millesimato della cantina Ugo Vezzoli Franciacorta e **Robiola di Roccaverano pura capra del Caseificio dell'Alta Langa

https://www.valentinavenuti.it/2016/09/risotto-alle-pere-con-fonduta-al-franciacorta-e-robiola-di-roccaverano/

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