Agnello in fricassea con carciofi

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Le origini del nome fricassea si perdono nella storia.

 

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La radice di origine latina frixùra significa arrostire, friggere da cui poi la parola francese fricasseé che indica una tecnica di preparazione della carne, di solito pollo o coniglio, ma anche agnello, vitello, manzo, maiale, fegato, animelle o altre frattaglie, come verdure da sole o in accompagnamento – carciofi, funghi, patate e carote – oppure anche pesce, che vengono tagliati a tocchetti e fatti dapprima rosolare, poi cotti a lungo e infine insaporiti con una salsa a base di uovo e limone, per ottenere una preparazione che risulta molto delicata e a tendenza dolce.
Nonostante il nome faccia intendere che la fricassea abbia delle origine francesi, la preparazione in fricassea è diffusa soprattutto al Nord Italia, in Grecia, in Nord Africa ed è conosciuta in tutto il mondo.

Lo scrittore Charles de Brosses, conte di Tournay, magistrato, filosofo, linguista e politico francese, la descrisse come un specialità della cucina ligure, in particola di Savona. Nel 1739, giunto a Savona, scrive: “…ci recammo alla locanda per divorare la buona fricassea di pollo che avevamo ordinato prima di uscire.”
Il de Brosses ci fa sapere inoltre che cosa sia una fricassea di pollo: “una grande teglia di soffritto di cipolla, nella quale si mette poi una salsa bianca; sopra si dispongono in croce quattro polli bolliti, e si versa una mezza bottiglia di acqua di fiori d’arancio: servire caldo.”

 

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Nel 1842 la prima uscita della rivista La Moda – Giornale di Lettere, Scienze, Arti, Teatri e Mode, la cita invece come una ricetta francese.
“A Prieze, nel circondario di Troyes, vive un taverniere che assai ben meritò, se non della patria, certo de’ beoni; ragione per cui, se la società enofila lo stima, e gli conserva la sua fiducia, la società di temperanza l’ha, in ricambio, in mala nota segnato.
La taverna di quel taverniere non è, a parlar propriamente, un Monte di Pietà, ma non è tampoco una taverna ordinaria; vi si mettono a leggere molte robe, ma non vi si presta danaro.
Più d’un avventore v’ha lasciato il cappello, l’abito, i calzoni e fin la camicia; più d’un’avventura, per la prepotenza del caso e della sete, vi pose in deposito fazzoletti, scialli e gonnelle.
Quella casa è un vero museo storico: date un paio di calzoni in pegno, ed avrete un pezzo di vitello; un abito e vi si darà una fricassea, una camicia ed avrete una bottiglia di vino.”

In Francia la fricassea è una delle tante ricette che hanno subito un’opera di volgarizzazione e trasformazione con la trasposizione semplificata, per la cucina domestica, delle tecniche culinarie professionali elaborate per rispondere alle esigenze del servizio alla francese.
Fu dopo la Rivoluzione Francese che la vera cucina, prima appannaggio esclusivo della nobiltà, divenne di dominio pubblico con la pubblicazione di numerose raccolte di ricette destinate alla borghesia vittoriosa, che riprendono e insegnano il credo tecnico della cucina decorativa di corte praticata ai fornelli: cottura in casseruola, roux, riduzioni e salse.
Ci si potrebbe dilettare a seguire la diffusione più ampia dei nuovi modi di cucinare attraverso una ricetta emblematica. Grimod de la Reynèr ci suggerisce un buon indizio quando si lamenta dei disastri durante gli anni della Rivoluzione: “Se il regno dei Vandali fosse durato più a lungo […] si sarebbe perduta anche la ricetta della fricassea di pollo.”Dalla carne fritta nello strutto del VII secolo, la fricassea è ancora preparata in maniera Mediovale in La Varenne a metà del XVIII secolo: bollita, tagliata, rosolata in padella e infine condita con una salsa legata con tuorli d’uovo e limone. Alla fine del XVII secolo la fricassea si fa a crudo, in casseruola, e la salsa è legata con la farina messa a brunire.
All’inizio del XVIII secolo essa assume questa forma “lo stufato più comune che si trova in campagna.”

 

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In Liguria la fricassea è chiamata Fracassa e ne esistono diverse varianti, anche senza salsa all’uovo, le più comuni sono quelle di agnello, di pollo e di verdure, soprattutto carciofi e scorzonera.

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Ricetta tratta dal libro di Salvatore Marchese, La cucina ligure di Levante - Le fonti, le storie, le ricette,

Ingredienti

  • 1 Kg di carne di agnello tagliata a pezi (spalla o collo)
  • 5 carciofi liguri
  • 5 cucchiai di olio d'oliva per l'agnello
  • 3 cucchiai di olio d'oliva per i carciofi
  • 1 spicchio d'aglio
  • il succo di un limone
  • un ciuffo di prezzemolo tritato
  • 2 uova intere
  • 2 spicchi d'aglio
  • 1 piccola cipolla
  • 1 bicchere di vino
  • un po' di brodo
  • sale e pepe

Preparazione

  1. In una terrina a bordi alti fai soffriggere in 5 cucchiai d'olio la cipolla tritata, aggiungi la carne d'agnello tagliata a pezzi e fai soffriggere per 7 minuti mescolando spesso.
  2. Nell'altro olio, in una terrina, fai soffriggere lo spicchio d'aglio quindi aggiungi i carciofi, opportunamente puliti e tagliati a spicchi. Mescola e cuoci per 20 minuti bagnando, se occorre, con un bicchiere d'acqua.
  3. Bagna l'agnello con il vino e lascia evaporare a fuoco dolce. Versa poi i carciofi nella terrina con la carne, cospargi con il prezzemolo tritato e mescola. Aggiusta di sale e pepe.
  4. Amalgama il succo di limone e le uova e, poco prima di togliere dal fuoco, versa la salsa sull'agnello e carciofi continuando a mescolare finchè il composto non si sarà rappreso.*

Note

* la salsa deve risultare cremosa e non rappresa

https://www.valentinavenuti.it/2016/11/agnello-in-fricassea-con-carciofi/

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Fonti:
– Vocabolario etimologico della Lingua Italiana Francesco Bonomi
– La Moda – Giornale di Lettere, Scienze, Arti, Teatri e Mode N.1
Lunedì 3 Gennaio 1842
– Giuliano Cerrutti    Vacanze a Spotorno – Storia dell’ospitalità 1700-1960
http://www.cibo360.it
– Boudan, Le cucine dal mondo

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